Natura e cultura della vulnerabilità
“Non credo nella cultura, non posso credere nemmeno nello spirito hegeliano, ma credo in una terza cosa che deve ancora venire.”
La citazione è da Manlio Sgalambro e come Sgalambro, anche Sergio Mario Illuminato crede in una terza cosa, che si deve ancora realizzare, che attende e desidera, volendola però concretizzare nell’oggi attraverso una pratica trans-disciplinare, unica re-azione possibile a quella metodologia che separa l’arte dalla realtà e la confina esclusivamente in musei, fiere e gallerie.
L’ex Carcere di Velletri, dismesso dal 1991, per oltre un anno è stato così di nuovo abitato; le vuote stanze con colonne di cartacee testimonianze, le pareti decorate dai graffiti dei doloranti spiriti rimasti, i pavimenti ora cosparsi dall’incedere del tempo divengono nuova coesistenza dell’arte che riconosce nel corpo e nello spirito la propria materia costitutiva: la vulnerabilità immersa nel suo ciclo di morte, vita e ri-nascita.
Le opere appaiono allora zone interstiziali della contemporaneità in cui pittura e scultura si informano dei linguaggi del cinema, della danza, della musica e della fotografia.
Gli Organismi-Artistici-Comunicanti, come definiti dall’artista, esistono in perenne stato di mutamento subendo fermentazioni, variazioni chimiche, degrado e rovina; e si stagliano come incarnazioni della vulnus dell’umano che mai può sfuggire alla natura.
L’opera è un ponte e non il fine ultimo – leggo nella pubblicazione del progetto, Corpus et Vulnus: rappresenta la traccia di quel nostro modo particolare di essere ‘cultura’ che permette ad ognuno di stanziare all’interno di un diversificato sistema di avvicinamento esperienziale.
Sergio Mario Illuminato crede in una terza cosa e la ‘costruisce’ e costruisce un processo, una pratica performativa, un movimento artistico e culturale, un incontro sul presente.
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