REDIMERE, NON VIGILARE. NOTE SU IO SONO VULNERABILE, DUNQUE VIVO. ARTE È AMARE LA REALTÀ!
Vigilando redimere è il motto del corpo degli Agenti di Custodia. Non è più in uso farlo, ma un tempo si era soliti scriverlo, a grandi caratteri, all’entrata o nelle sale principali degli ambienti carcerari. Il motto esprime un compito difficile, a tratti aporetico. Come far convogliare, infatti, una sorveglianza serrata, che comprime e deprime ogni anelito libertario, ad un atto di cura che possa veicolare un messaggio di recupero, perdono e ricominciamento alla vita? La storia carceraria, anche la più recente, ha posto l’accento sul primo termine del motto, chiudendosi in un circuito che Michel Foucault definirebbe di controllo e disciplina del condannato. Ha ignorato totalmente, invece, le implicazioni più complesse del secondo, redimere, a cui è necessario tornare senza il rischio di articolarlo con l’imperativo disciplinare.
Può l’arte appropriarsi del senso della “redenzione”, intesa laicamente, per poter riflettere su una piegatura quanto mai urgente dell’esperienza della reclusione carceraria? È la sfida che l’artista Sergio Mario Illuminato raccoglie con grande sensibilità, orchestrando un progetto intermediale intitolato Io sono vulnerabile, dunque vivo. Arte e amare la realtà!, fruibile all’interno dell’Ex Carcere pontificio di Velletri fino al 30 gennaio. Si tratta di un incontro florido fra diversi artisti e fra diverse forme d’arte, volto a tratteggiare un percorso riflessivo sulla vulnerabilità umana all’interno di uno spazio caduto in disuso fin dagli anni ’90.
Non solo quindi le pitture materiche dell’artista di origine siciliana, ma anche la coreografia di Patrizia Cavola e Ivan Truol con i danzatori Camilla Perugini e Nicholas Baffoni, nonché il sintetico flusso sonoro dei musicisti Andrea Moscianese e Davide Palmiotto. Il puntellarsi eterogeneo di diverse forme d’arte collima, nell’economia generale del progetto, in un dialogo profondo e proficuo con il luogo disadorno del carcere. La scelta di tale spazio, con il logorio dei suoi elementi architettonici, è di certo politica, nel senso che, come afferma il testo di presentazione della mostra, insiste nel «decontestualizzare l’arte dai luoghi consueti e anonimi». Aggiungerei anche che si tratta di una scelta schiettamente estetica, dal momento che l’ambiente carcerario non si presentifica solo come cornice, sfondo anonimo da cui si stagliano opere d’arte, ma come elemento costitutivo della poetica artistica, oggetto visivo pivotale attorno a cui si orienta il lavorio dell’arte.
Lo si comprende bene osservando gli Organismi Artistici Comunicanti (OAC) dello stesso Illuminato: le tele, composte da pigmenti organici, evidenziano il loro costante dialogare con lo spazio attraverso gli effetti dell’azione corrosiva dell’umidità e del degrado ambientale; tagli, sfilacciature, smembramenti, sgretolamenti che adornano il segno del gesto pittorico trovano una connessione vibrante con ciò che il luogo ha prodotto come scarto, degrado, immondizia. Un quadro non è colto come opera sussistente in sé, ma come particolare di un’installazione più grande, composta da pile di faldoni di documenti abbandonati, messaggi dei detenuti scritti nelle pareti, ritagli di giornale, muffa, deterioramento murale. L’impatto è perturbante e al contempo accogliente, proprio perché non si perde il focus della riflessione legata alla vulnerabilità. È proprio questa la piega che Sergio Mario Illuminato offre alla redenzione: ci si redime attraverso il riconoscimento della propria fragilità, e il gesto artistico sa essere incarnazione e testimonianza di tale presa di coscienza. Poter essere vulnerabili significa anche potersi perdonare per poter (r)incontrare l’altro. Altra piega del redimere s’intesse, infatti, nel filmato della “danza-abbraccio” di un uomo e una donna. Esplorando un luogo pregno della memoria di molte solitudini, i due danzatori disegnano nuove geometrie di incontro, nuove prospettive umane basate sulla vulnerabilità come possibilità fondativa dell’“Io-Tu”. Tirando le somme, Io sono vulnerabile, dunque vivo. Arte è amare la realtà! convince perché offre finalmente una nuova articolazione discorsiva sulla realtà delle carceri, aprendo la possibilità di un nuovo paesaggio umano, dove la pena non è espressione di controllo, ma stato di sperimentazione della vulnerabilità, e quindi coscienza del perdono di sé. Per citare Simone Weil: «Anch’io sono altra da quella che m’immagino essere. Saperlo è il perdono».
IO SONO VULNERABILE, dunque vivo. Arte è amare la realtà!
a cura di Sergio Mario Illuminato
30 settembre 2023 – 30 gennaio 2024
Ex Carcere Pontificio di Velletri
Piazza Cesare Ottaviano Augusto, Velletri (RM)
Il progetto è realizzato nell’ambito dell’Accademia di Belle Arti di Roma, con il patrocinio di Regione Lazio, di Città Metropolitana di Roma Capitale e del Comune di Velletri, produzione esecutiva di Movimento Vulnerarte APS, con la collaborazione di Compagnia Atacama e Festival Internazionale Danza Contemporanea Paesaggi del Corpo.