Ampliando i termini di dispositivi ‘site-specific’ e ‘site-sensitive’ ormai usurati, si dovrebbe parlare nel contemporaneo di ‘site-coexistence’, cioè il tentativo di creare non un confronto ma un dialogo tra più esistenze; un’esperienza più incisiva, anche se limitata al tempo e allo spazio dell’evento performativo.
È giunto il momento di concepire un’azione artistica che sfidi la corrente dominante, esaltando le proprie risorse estetiche ed etiche e mettendo in evidenza un sistema sociale che banalizza il corpo e la sua fragilità, relegandoli a una mera finzione consumistica, nostalgica e funzionale a una cultura di mercato. Il progetto di ricerca 2020-2023 si concentra sul ‘corpus’ e sul ‘vulnus’ ricollocandoli attivamente nella dinamica rovinante per ampliare l’orizzonte di attenzione dello spettatore.
Lo spazio espositivo assume quindi una singolarità che trascende la sua dimensione fisica, trasformandosi in uno spazio mentale al di fuori delle convenzioni comuni. Prendiamo ad esempio le ‘cattedrali contemporanee della vulnerabilità’: ex-carceri, ex-manicomi, ex-mattatoi, ex-ospedali, ex-barconi… luoghi abbandonati nelle nostre metropoli in cui possiamo scoprire ciò che si nasconde dietro al mondo-in-funzione. Sono spazi appositamente selezionati per adottare una prospettiva diversa sull’arte, in cui l’attenzione è posta non solo sull’estetica, ma anche sull’etica e sulle implicazioni politiche. Questo spazio mette in discussione il fruitore, suscitando un impatto emotivo.
Questo spazio rappresenta un potenziale campo esperienziale, un luogo meditativo nella sua essenziale nudità, in cui il fruitore è invitato a riflettere partendo dalle vibrazioni degli elementi preesistenti, dall’essenza stessa di questo spazio unico e irripetibile, creando così un nuovo e profondo legame empatico con il mondo.
Lo spazio, dunque, assume il significato di libertà, di opposizione alle convenzioni, alla superficialità e all’intrattenimento che degradano e sottomettono l’arte. Questi luoghi sono capaci di ospitare ‘Organismi Artistici Comunicanti’ che si collocano al confine tra l’estetico e il vissuto, avvolti nel silenzio e nella patina del degrado, diventando custodi del valore astratto del vuoto tra le cose. In tale silenzio e vuoto, è possibile ascoltare il rumore di fondo, scoprire, vedere e sentire lo spazio che si apre tra i nodi e le connessioni della nostra rete mentale abituale.
Invece di passare frettolosamente da un frammento all’altro, da un quadro all’altro nelle gallerie e nei musei in cui l’arte contemporanea è stata confinata, qui e ora è possibile permettere alla mente di distendersi e immergersi nello spazio interstiziale che si apre tra cultura e natura. È la relazione che si instaura, più che la forma in sé, a definire l’estetica e l’etica che sperimentiamo, trasformandosi in un luogo portatore di senso, in cui l’arte ha sempre risieduto.