L’arte è amare la realtà!
Questa affermazione è incarnata dagli Organismi Artistici Comunicanti (OAC), custodi dell’idea che l’arte sia un processo strettamente legato alla vita come materia prima.
Partendo dalla grammatica convenzionale, questi dispositivi non sono opere semplici da contemplare; mancano di una forma fissa e conclusa, somigliando piuttosto a un ‘tessuto-trama-cosmica‘ in continua evoluzione, composto da pigmenti metallici e organici in costante cambiamento attraverso reazioni chimiche, fermentazioni, alterazioni cromatiche e degrado.
Inducendo un rapido processo alchemico di decadenza e rovina alla loro esistenza, applico ai dispositivi la patina temporale che entra in tensione con l’ecosistema dinamico di cui facciamo parte con la nostra umanità.
Richiamando le riflessioni del filosofo Bruno Latour sulle strutture ibride, una volta consumato il valore stabile della forma, l’opera artistica diventa un passaggio trasparente e, di conseguenza, non funziona più come un modello in sé, ma come un dispositivo comunicante che cerca di ristabilire una complessa simmetria tra l’artista e l’altro, tra la cultura e la natura.
Attraverso il concetto di rovina come meccanismo creativo, emergono due forze distintive descritte dal sociologo Georg Simmel all’interno degli stessi dispositivi: la pesantezza della materia e lo spirito della natura. Queste forze convergono, creando un’unità ‘estetica-di-convergenza‘ investita di un nuovo significato etico che genera molteplici strati e diverse regioni di un universo polisemico di significati fluttuanti; sempre in evoluzione, inesauribili e intraducibili, coinvolgendo una natura interpretativa attiva e inclusiva tra artisti e partecipanti.
Il risultato attivo del dispositivo artistico si distacca dalle corrispondenze simboliche statiche, diventando un vero medium relazionale. Nonostante la mancanza di armonia, emergono legami profondi per l’osservatore, coinvolgendolo in un’esperienza autentica con il proprio corpo.
Nella simultaneità di intuizione e pensiero, che sposta dinamicamente i propri confini all’interno del dispositivo, il conflitto tra la spinta verso il basso (della materia) e la spinta verso l’alto (dello spirito), tra scopo e accidente, tra natura estetica e natura etica, tra passato e presente, tra ciò che non è più e ciò che non è ancora, non si risolve mai completamente. Si mantiene una coesistenza irrisolta, una tensione profonda tra le opposizioni, che si manifesta in un’unità del dispositivo densa e permeabile, che si oppone all’unità compatta e strutturata che nessuna forma può mai realizzare se non aprendosi a tutte le correnti antagoniste.
Il dispositivo di convergenza OAC rappresenta un processo di riappropriazione e risignificazione del mondo, riconoscendo l’interconnessione tra natura e cultura. I pigmenti agiscono come tracce di percorso, reinterpretando concetti come transizione e tramonto, senza cercare la perfezione estetica ma piuttosto desiderando distruggere le forme visibili di una cultura merceologica ossessionante.
Riflettendo sulla grandezza dell’uomo secondo Nietzsche, i dispositivi sono considerati come un ponte piuttosto che un fine ultimo. In un mondo che perde sostanza e verità, è necessario avere il coraggio di affermare che il cuore dell’arte risiede oltre le mode contemporanee, sfuggendo all’inseguimento effimero.
Riconoscendo l’interconnessione tra natura e cultura, il dispositivo di convergenza diventa un tessuto del vissuto inconcluso. Questo processo alimenta la progressiva acquisizione della dissoluzione nell’artificio delle cose, rappresentando il risultato del passaggio dalla ricerca avanguardistica astratta a una soggettività in azione riflessa nelle cose. La filosofia continua ad essere cruciale per l’arte contemporanea, sfuggendo all’illusione e vivendo appieno le emozioni come eventi nel flusso di esperienza.