Claudio Noviello, archeologo e scrittore

Il Museo archeologico di Villa Altieri, veicolo di suggestioni tra classico e contemporaneo

Il Museo archeologico nasce nel contesto di un più ampio progetto di recupero e riqualificazione funzionale della seicentesca villa Altieri, varato dalla Provincia di Roma – oggi Città metropolitana di Roma Capitale – a partire dal 2010, e finalizzato alla costituzione del “Palazzo della Cultura e della Memoria Storica”.

Con l’impegnativo progetto di restauro si è inteso istituire un polo culturale polifunzionale, da adibire a sede della maggior parte dei servizi culturali dell’Ente: dalla collezione storica degli Altieri, raccolta nel piano terra musealizzato ad hoc, dove sono situate anche le sale per le esposizioni temporanee, alla Biblioteca istituzionale e all’Archivio Storico, organismi viventi che hanno sede al secondo piano della struttura; la grande sala conferenze per gli eventi culturali è stata invece allestita nella Galleria del piano nobile, il cui accesso in facciata è favorito dalla magnifica scalinata a doppia rampa semicircolare realizzata da Giovanni Antonio De Rossi, architetto di casa Altieri, preziosa cornice per la fontana dei Tritoni e dei Delfini.

Dal 2018, data di apertura al pubblico della nuova -sia pure esigua – realtà museale, alcune migliaia di ospiti hanno potuto visitare la parte musealizzata della Villa, in cui è esposto quanto resta dell’antica collezione archeologica di famiglia, unitamente ad una presentazione del contesto archeologico di giacenza, resa di particolare interesse grazie ad una suggestiva sopraelevazione vetrata della Loggia, utile a consentire una corretta visione della pavimentazione originaria della Villa, realizzata in acciottolato di scaglie di basalto, nonché dei resti delle sottostanti di strutture di età romana. Un impegnativo progetto didattico, inoltre, prevede una serie di servizi multimediali fruibili in loco e dei cicli di visite guidate specialistiche su prenotazione, ideate con la finalità di far conoscere il luogo e i suoi contenuti, offrendo al pubblico un itinerario gratuito, concepito come una sorta di viaggio nel tempo, tra diacronie e sincronie, dalle vicende della protostoria del sito sino ai giorni nostri. Recentemente, infine, la Villa ha ospitato numerose esposizioni temporanee, destinate a impreziosire ulteriormente l’offerta culturale, nella direzione di una proficua simbiosi tra arte classica e arte contemporanea.

Come è noto, l’antica villa suburbana della famiglia Altieri, di cui rimane oggi solo il nobile Casino delle delizie e una modesta porzione del giardino, fu edificata nei primi anni ’70 del Seicento, nel momento di massimo splendore della nobile casata romana, quando Emilio Bonaventura Altieri salì al soglio pontificio con il nome di Clemente X (1670-1676). Edificio di rappresentanza e di villeggiatura – ma anche di sussistenza- della nobile famiglia romana, la Villa visse una fase di notevole prestigio tra il XVII e il XVIII sec. e fu anche meta dei viaggiatori del Grand Tour. Oltre al nobile casino, in cui erano esposti i tre celebri lacerti pittorici della tomba dei Nasoni, scoperta nel 1674 presso la via Flaminia, i visitatori dei secoli scorsi potevano ammirarvi, insieme con gli altri reperti, i grandi giardini con fontane e giochi d’acqua, e, non ultimo, lo splendido Labirinto circolare di siepi di bosso, all’epoca uno dei più grandi del suo genere, il cui diametro superava per estensione la lunghezza della facciata della stessa Villa.

Alienata dopo alterne vicende nel 1858, la Villa Altieri esquilina visse una seconda – del tutto nuova – vita quando passò nelle proprietà di mons. Federico Francesco Saverio de Merode (1820-1874), pro-ministro delle Armi di papa Pio IX, che vi effettuò sostanziali modifiche, proprio nel momento in cui l’urbanizzazione umbertina ne espropriava quasi completamente i giardini e le aree coltivate. La Villa venne infatti destinata ad ospitare le detenute del vecchio carcere delle Terme di Diocleziano, per tramutarsi, così, nel bagno penale femminile di Roma (1872-1897).

Luogo di “vulnerabilità” e sofferenza, la struttura, sebbene interessata da alcuni esperimenti riabilitatori atti a mitigare la qualità della vita delle internate e a favorirne il recupero, visse tempi non felici. Tale inadeguata destinazione d’uso, del tutto impropria per una villa storica, fu mantenuta anche dopo il trasferimento della struttura carceraria, quando le suore Dorotee vi istituirono un collegio per educande, sulla scia del precedente utilizzo, e quando, a partire dagli anni ’30 del Novecento, nell’edificio si installò l’istituto scolastico Pietro Della Valle. L’utilizzo della Villa a istituto di istruzione secondaria continuò ininterrottamente anche dopo l’acquisto da parte della Provincia di Roma (1975), per protrarsi fino al 2010, quando l’intervento dell’Amministrazione Provinciale ha restituito la preziosa dimora alla pubblica utilità.

In un’epoca in cui la contaminazione tra l’arte classica e l’arte contemporanea non viene più vissuta alla stregua di una provocazione, nella consapevolezza che debbano abbattersi tutte le barriere e quei pregiudizi verso i linguaggi del contemporaneo che ancora oggi, soprattutto nel nostro paese, resistono pervicacemente, e ritenendo altresì che in un luogo d’arte come un museo archeologico o una qualsivoglia galleria, grande o piccola che sia, debba potersi elaborare una relazione dinamica con il lavoro degli artisti viventi, si evidenzia da sé come l’iniziativa di una mostra quale quella attualmente ospitata sulla vulnerabilità, abbia un senso più che compiuto, anzi, rappresenti un valore primario.

In un certo senso, le attività come queste rispondono quasi ad una necessità storica, tra mutamento e innovazione, perché determinano una sinergia tra il luogo della memoria antica, non più immutabile e chiuso, e le istanze culturali postmoderne, anche nella prospettiva di favorire la crescita della produzione artistica di nuova generazione, e quindi di un accrescimento del patrimonio artistico tout court.

Per fare questo, però, è necessaria a monte una progettualità operativa che nobiliti questo incontro, fatta di temi, interconnessioni, sapienti rimandi, in un dialogo proficuo tra istituzione ospitante e soggetto espositore. Ed è proprio ciò che succede con Io sono Vulnerabile, dove la connessione più stringente – ma che al suo interno ne cela molte altre- è quella della tematica carceraria, che non a caso accomuna contenitore a contenuto. Due carceri, quello pontificio di Velletri, ben rappresentato dal materiale espositivo proposto in Mostra, rielaborato artisticamente mediante un allestimento altamente evocativo e toccante, e quello di Villa Altieri, che nasce agli albori dell’Unità d’Italia dalle ceneri dell’istituto pontificio di S. Maria degli Angeli, e che in parte ancora oggi si rinviene nelle superfetazioni architettoniche e d’arredo sopravvissute a decenni di degrado strutturale. La vulnerabilità rievocata dalla sofferenza vissuta, dunque, ma resa anche come paradigma del mutamento e del disfacimento del tempo. La vulnerabilità, in fondo, è anche questo.

Claudio Noviello, referente per il Museo e l’area archeologica di Villa Altieri

ISCRIZIONE ALLA NEWSLETTER