La proiezione del cortometraggio VULNERARE rappresenta un momento simbolico per la vita del progetto il quale vede la sua realizzazione in diversi siti: IOSONOVULNERABILE ha avuto il suo incipit nel gennaio scorso attraverso una residenza d’artista negli spazi abbandonati dell’ex carcere pontificio di Velletri, per approdare a Parigi e proseguire nel prossimo dicembre presso i locali seicenteschi del Museo Storico di Villa Altieri di Roma. IOSONOVULNERABILE è un progetto complesso dove la vulnerabilità umana, con le paure, le sconfitte e le debolezze che accompagnano l’esperienza terrena degli individui, viene raccontata e, se vogliamo, esorcizzata e mutata in emozione attraverso svariate forme artistiche quali la fotografia, il cinema, l’arte coreutica, il teatro, la musica, la scenografia e l’editoria. L’importanza del progetto viene evidenziata dal Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Parigi, Antonio Calbi, attraverso le seguenti parole: “La cultura è occasione di formazione e di crescita e a volte anche di lotta contro le ingiustizie. Il primo passo per farlo è accettare le nostre stesse fragilità in un mondo che continua a richiedere la perfezione, noi scegliamo di esaltare la vulnerabilità, la bellezza del gesto semplice, puro”.
VULNERARE: un cortometraggio materico
L’opera prima di Sergio Mario Illuminato, nella sua durata di poco più di 13 minuti, si presenta densa di significati, i quali originano per lo più dall’osservazione della materia. Girato all’interno dell’ex carcere pontificio di Velletri, costruito nel 1860 e in disuso dal 1991, ora in procinto di cambiare destinazione d’uso, il film si presenta come una serie di immagini, sia a colori che in un suggestivo bianco e nero, nella quali si mostra il passato, o meglio, i richiami di molteplici vite (sofferenti, trattandosi di un carcere) che si sono espresse/represse in quei luoghi. Reti, sbarre, porte, tralicci, faldoni accatastati sul pavimento, scritte sui muri e corridoi sono i protagonisti del corto, ma non solo. Intensi momenti performativi si rintracciano in azioni coreografiche che rievocano la corporeità dell’umanità che ha soggiornato in quei luoghi, come anche le ombre che ricordano sedimenti di vita, i quali ci legano ad una memoria forse confusa, che trasuda dai muri scrostati nei quali la superficie malandata è essa stessa significato.
La materia come espressione della realtà
Durante la proiezione dell’audiovisivo, impreziosito da una colonna sonora “spigolosa” realizzata da Andrea Moscianese, la quale dona profondità e una adeguata asprezza alle immagini materiche, si ha la sensazione di rievocare quelle tristi emozioni, non solo accarezzando le immagini tramite l’organo della vista, ma anche esperire attraverso il tatto gli oggetti e le strutture che Illuminato ci mostra. Aprire quei faldoni impolverati e scorrere i nomi di chi quei luoghi ha vissuto con la vulnerabilità del condannato, incarna il desiderio dello spettatore. Ogni nome richiama un individuo, uno sconfitto, una storia personale forse perduta per sempre nel buco nero di una storia che si interessa solo dei vincitori. Un corto, quindi, questo di Illuminato, che non cede a voli pindarici o ad un linguaggio visivo riservato ad iniziati pregno di autoreferenzialità, ma che cerca di aprire un canale comunicativo (funzione dell’arte, questa, che sembra da tempo abbandonata) con i contemporanei parlando di memoria, quindi di tempo, e di luoghi nei quali questa memoria si è condensata, quindi di spazi. A proposito della sensazione “tattile” che fornisce la visione di VULNERARE, ci ha colpito, ma forse è più corretto dire “attratto” una frase scritta su un muro: “I tagli sulla pelle non sono un’illusione non guariscono più” che sembra suggellare appunto come la realtà impatti nella vita degli individui senza chiedere il permesso, forzando molto spesso le direzioni e stabilendo le sorti, per lasciare, infine, un segno indelebile.
arte è amare la realtà qualunque sia
Il titolo del corto, come è noto, deriva dal termine latino vulnus che si traduce con ferita, ma anche offesa, danno, che a vedere l’audiovisivo di Illuminato sembra essere sempre non riparabile: le scritte sui muri, i nomi dei detenuti scritti sui registri, i quali sopravvivono alla durata della condanna e anche a loro stessi, solo apparentemente ci stanno parlando del passato, in realtà sono pietre miliari della memoria e delle emozioni ancora vive contenute in essa. Illuminato sembra però ammonire lo spettatore circa il rischio di non credere solo al racconto del passato, ma al contrario, lo invita ad attualizzare il gesto artistico, in questo caso filmico, e farlo proprio nell’atto coraggioso di mostrare le proprie ferite e accettare la propria vulnerabilità, elemento imprescindibile del confronto con il reale. Invita l’individuo contemporaneo, ossessionato dall’idea del successo, con le parole di Pierpaolo Pasolini, ad accogliere una realtà “dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità siano intaccati”, elevando il significato dell’esperienza terrena molto al di là delle maschere di infallibilità abitualmente indossate dagli individui. Diviene quindi un monito la grande scritta che, nelle scene che segnano l’epilogo, appare sui muri perimetrali del piazzale riservato all’ora d’aria dei detenuti (forse tutti noi) che recita: “vulnerabile dunque vivo, arte è amare la realtà”.
Sergio Battista, Giornalista del Gufetto, recensione del 04/10/2024